4 Marzo – Prima Giornata per le Malattie Neuromuscolari (GMN 2017)
Sabato 4 marzo, l’Associazione Italiana Miopatie e l’Associazione Italiana per lo Studio delle Neuropatie Periferiche, con la partecipazione dell’Alleanza per le Malattie Neuromuscolari e di Fondazione Telethon, organizzano una giornata di incontro dedicata alle Malattie Neuromuscolari (GMN 2017). Queste rappresentano un insieme di malattie eterogenee accumunate da atrofia muscolare e difficoltà nei movimenti, e per le neuropatie anche da problemi di equilibrio e di percezione sensoriale. I sintomi possono risultare dal danneggiamento di diverse parti del sistema nervoso: i neuroni (motori e sensitivi) e i nervi che li collegano ai tessuti muscolari, nel caso delle neuropatie; o direttamente i tessuti muscolari, nel caso delle miopatie. Tra le forme più note troviamo la distrofia muscolare di Duchenne, la Distrofia miotonica di Steinert, la distrofia facio-scapolo-omerale, le neuropatie diabetiche, infiammatorie e quelle ereditarie (o CMT). All’evento, che si terrà contemporaneamente in 14 città italiane, partecipano neurologi, fisiatri, medici generali, fisioterapisti, infermieri, psicologi, caregivers, oltre ai pazienti, le loro famiglie e le Associazioni che li rappresentano. “Le malattie neuromuscolari sono al 90% malattie rare e si presentano spesso con un andamento progressivo, degenerativo e cronico causando importante disabilità nei pazienti e spesso la necessità di assistenza sia a domicilio sia presso le strutture sanitarie”, afferma il dottor Stefano Previtali, capo unità Rigenerazione Neuromuscolare dell’Ospedale San Raffaele, “La ricerca in questo senso si sta muovendo per capire i meccanismi responsabili della loro insorgenza e trovare delle cure per poterne rallentare la progressione o per poterle finalmente curare”, conclude la dottoressa Alessandra Bolino, capo unità Neuropatie Ereditarie Umane dell’Ospedale San Raffaele.
Per maggiori informazioni sulla giornata visita: www.giornatamalattieneuromuscolari.it
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Un farmaco aiuta a controllare la recidiva del linfoma a grandi cellule
Il linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) è un tumore maligno molto aggressivo e fra i più frequenti tumori del sangue. Nonostante l’efficacia dei trattamenti disponibili, una quota significativa di pazienti sperimenta una recidiva, e coloro che per età avanzata o fragilità fisica non riescono a sottoporsi a un trapianto di cellule staminali autologhe, hanno possibilità ridotte di contrastare ulteriormente questa malattia. Gli sforzi per migliorare questo scenario sono stati finora infruttuosi. Tuttavia, un farmaco semplicemente somministrato per via orale e a basso profilo tossico, ha mostrato ottimi risultati in questo gruppo di pazienti. Il farmaco è un immunomodulatore che agisce in diversi modi: colpisce le cellule tumorali, ma anche l’ambiente nel quale crescono queste cellule, oltre a favorire l’attività del sistema immunitario.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Haematology, è stato coordinato dal dottor Andrés José María Ferreri, a capo del gruppo di ricerca Disordini Linfoproliferativi della Divisione di Oncologia Sperimentale dell’Ospedale San Raffaele, in collaborazione con Maurilio Ponzoni, responsabile dell’area diagnostica di Ematopatologia nell’unità operativa di Anatomia Patologica e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. Come riportano gli autori, il farmaco (la lenalidomide) ha permesso al 70% dei pazienti trattati di superare un anno di terapia senza che la malattia progredisse. Non solo, nel gruppo di pazienti già sottoposti ad autotrapianto, la cosiddetta “mediana di sopravvivenza” (il tempo in cui la popolazione viene dimezzata dalla malattia), solitamente di soli 9 mesi, con l’aiuto del farmaco è più che raddoppiata, prolungandosi per più di 20 mesi. La terapia è risultata particolarmente efficace in tutti i sottotipi di DLBCL e in particolare anche in quelli preceduti da forme di linfoma più indolenti, chiamati “trasformati” e che rappresentano un sottogruppo con prognosi ancora più severa.
“È un risultato che supera ogni attesa e offre delle possibilità terapeutiche concrete a persone che fino a oggi ne erano prive”, spiega il dottor Ferreri. “Non solo, grazie al proprio ottimo profilo di sicurezza, il farmaco può essere assunto per anni, semplicemente per via orale, con lunghi periodi di remissione di malattia. Solo dopo un adeguato periodo di osservazione, che rappresenterà il prossimo passo importante di questo studio, potremo capire se questo successo terapeutico coinciderà a tutti gli effetti con la guarigione per i nostri malati”.
Quanto ottenuto apre la strada a un ulteriore studio che confermi le indicazioni già emerse. Gli straordinari miglioramenti clinici già riscontrati in questa prima fase, suggeriscono l’estensione immediata dell’utilizzo del farmaco per tutti quei pazienti ad alto rischio privi di alternative terapeutiche valide.
Per maggiori informazioni sullo studio: ferreri.andres@hsr.it
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28 febbraio: Giornata delle malattie rare
Ogni anno, l’ultimo giorno del mese di febbraio è dedicato alla giornata mondiale delle malattie rare, ovvero a quel gruppo di malattie il cui numero di casi, in Europa, non supera lo 0,05% della popolazione pari a 1 su 2000 abitanti. Se considerate tutte insieme, però, le malattie rare colpiscono decine di milioni di persone ogni anno in Europa. La giornata ha tra i suoi obiettivi principali quello di sensibilizzare la popolazione su questo tema al fine di sostenere la ricerca perché molte delle malattie conosciute e diagnosticate (attorno alle 8000) ad oggi non hanno ancora una cura.
L’IRCCS Ospedale San Raffaele è uno dei presidi della rete regionale per le malattie rare che offre assistenza con 49 ambulatori specifici per 137 patologie rare e un sito dedicato: http://malattierare.hsr.it.
Spiega Gianni Russo, pediatra e referente del San Raffaele per le malattie rare con il dott. Stefano Previtali: “Il nostro ospedale ogni anno accoglie quasi 5.000 persone con patologie rare, tra cui moltissimi bambini. Seguiamo i nostri pazienti con un approccio multidisciplinare al fine di poter identificare e prenderci cura di tutte le problematiche legate allo sviluppo di queste patologie che possono dare sintomi importanti già dalla prima infanzia”. Stefano Previtali, neurologo e ricercatore dell’unità di Rigenerazione neuromuscolare, spiega “Purtroppo ci capita di accogliere persone che hanno malattie poco conosciute e il nostro compito è spiegare loro che ancora non esiste una cura, ma che il nostro obiettivo di medici e ricercatori è proprio quello sviluppare la conoscenza delle malattie per arrivare a una cura”.
Al San Raffaele vengono studiate sia patologie rare che hanno un’incidenza molto basse e di cui si conosce poco, come la sclerosi tuberosa (incidenza 1 su 6000 nati) o la leucodistrofia metacromatica (incidenza di 1 su 50.000) o la sindrome di Prader Willi (incidenza circa 1:25.000), sia patologie rare oggi già più note con incidenza maggiore come le distrofie muscolari o le neuropatie genetiche o le alterazioni dello sviluppo puberale (pubertà precoce e pubertà ritardata). Per sviluppare nuove conoscenze sulle malattie e trovare nuove cure è importante il supporto di tutti. Non c’è cura senza ricerca. http://www.hsr.it/sostienici/
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Una proteina contro la stanchezza da infiammazione cronica
Una proteina utilizzata normalmente dalle cellule del sistema immunitario per comunicare tra loro e inibire gli stati infiammatori potrebbe diventare un trattamento contro la stanchezza da infiammazione cronica. La scoperta, per ora limitata al modello animale, è frutto del lavoro dei ricercatori dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare dell’Ospedale San Raffele in collaborazione con la University of Colorado, ed è apparsa questa settimana sulle pagine della prestigiosa rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).
“A tutti è capitato di sperimentare, in occasione di una banale febbre o infezione, come gli stati infiammatori si associno a una marcata sensazione di fatica. Nei pazienti con malattie infiammatorie croniche, però, questa fatica persiste e risulta molto debilitante. Le terapie attualmente disponibili non sono efficaci nell’ottenere una riduzione della fatica, anzi, tra i loro effetti collaterali spesso c’è un aumento della fatica”, spiega Giulio Cavalli, medico e ricercatore del San Raffaele, autore della scoperta e appena rientrato in Italia dagli Stati Uniti, dove ha svolto buona parte della ricerca. “È stato entusiasmante scoprire, dopo due anni di lavoro, che una molecola naturalmente prodotta dall’organismo riduce l’infiammazione e la fatica, e migliora la tolleranza allo sforzo. Altrettanto entusiasmante è poter continuare ora la ricerca al San Raffaele”.
Nello studio si dimostra che la proteina – l’interleuchina IL-37 – è in grado di migliorare la performance fisica sia di topi sani sia di topi con in corso un’infiammazione (che normalmente ne riduce la resistenza fisica). IL-37 sembra funzionare attraverso due meccanismi contemporaneamente: da una lato la riduzione del processo di infiammazione, dall’altro la modifica di processi metabolici. La scoperta potrebbe avere importanti ripercussioni per la terapia della fatica cronica causata da molte malattie che scatenano processi infiammatori, dall’artrite reumatoide al cancro.
“I risultati interessanti e incoraggianti ottenuti in questo studio”, commenta il Prof. Lorenzo Dagna, co-autore del lavoro e direttore dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, “sono espressione del costante impegno della nostra Unità operativa a comprendere e a prendersi cura di quegli aspetti spesso trascurati ma debilitanti che accompagnano le malattie croniche”.
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