La risonanza magnetica funzionale, che consente di studiare come diverse aree cerebrali comunicano tra loro, si candida a diventare uno strumento di diagnosi precoce della demenza frontotemporale, un tipo di demenza che colpisce le persone tra i 50 e i 60 anni e che spesso all’esordio può essere confusa con la forma giovanile di Alzheimer. È questo il risultato di uno studio dei ricercatori dell’Unità di Neuroimaging quantitativo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, pubblicato su Neurology. Gli scienziati, spinti dalla difficoltà attuale nel distinguere le due forme di demenza, hanno studiato con tecniche di risonanza magnetica funzionale il cervello di pazienti con entrambe le malattie, mappandone il connettoma, ovvero la rete di connessioni che permette a parti del cervello adibite a diversi compiti di “parlare” tra loro. Le analisi hanno dimostrato che la variante giovanile dell’Alzheimer presenta un danno della funzionalità cerebrale grave e diffuso, mentre nella demenza frontotemporale il danno è circoscritto alle regioni cerebrali anteriori. Una differenza che permette di distinguere le due patologie precocemente e con grande precisione. “Questo studio ci aiuta a comprendere i diversi ‘percorsi’ che le due malattie seguono nel cervello e nel futuro ci aiuterà a sviluppare nuovi strumenti diagnostici non invasivi e offrire un percorso terapeutico personalizzato ai pazienti” spiegano il professor Massimo Filippi, a capo dell’Unità di Neuroimaging quantitativo, e la dottoressa Federica Agosta, neurologa e ricercatrice della stessa unità.